lunedì 4 aprile 2016

La Città senza Notte, feature film di Alessandra Pescetta recensioni da Sguardi Altrove

La Città senza Notte, feature film di Alessandra Pescetta

in concorso internazionale al  23° International Women’s Film Festival- Sguardi Altrove.




“La Città Senza Notte”, Opera Prima,  dopo aver esordito come unico film italiano in concorso al Taormina Film Festival la scorsa estate, prima di ricevere il "Sigillo della Pace" e il "Premio Gilda” al Festival di Cinema e Donne di Firenze, e “Best Narrative Fiction” al Sydney World Film Festival, è stato selezionato ufficialmente al 23° International Women’s Film Festival- Sguardi Altrove.


Ottime recenensioni hanno accompagnato la rassegna.

Recensione di 1977 Magazine -"La città senza notte (The nightless night, Italia/UK 2015) è l’altra faccia della Sicilia: una Catania notturna e misteriosa, sognante e surreale. La favolosa fotografia e le accurate scelte di regia riescono a evocare ogni minima sfaccettatura degli stati d’animo dei protagonisti Mariko e Salvatore, due cuori uniti da un amore delicato, che si muove in punta di piedi sulle differenze culturali tra il controllato Giappone e l’esuberante Sicilia. Un film sperimentale e simbolico, in cui tutto parla tranne i protagonisti, a cui basta uno sguardo o un minimo gesto per comunicare tra loro e con gli spettatori. L’intervista con Alessandra Pescetta, in uscita a breve sul nostro sito, svelerà tutto il “non detto” del film; nel frattempo vi consigliamo vivamente di vederlo." Grazie a Benedetta Pini


Recensione di Indie-eye, a cura di Andrea Schiavone
La città senza notte di Alessandra Pescetta è un film che si muove tra arte pittorica e videoarte. Le gigantografie di Mariko e gli intermezzi allegorici in rallenty si incasellano nella trama visiva come rifinente collante narrativo, mentre le intime vicende si sviluppano in un contesto quasi metafisico, come la materializzazione degli aridi spazi della psiche. La casa diventa un non-luogo agli occhi di una apolide come Mariko, costretta ad abbandonare il suo paese distrutto dalla potenza della natura. Un luogo domestico che si fa spazio di transizione, effimero e alienante locus horridus, rifugio solo apparentemente securitario, dischiuso in un openspace dall’arredamento minimale e aperto all’esterno in lunghe vetrate che lasciano intravedere un paesaggio emblematico, disarmonico e ossimorico, in cui si contrappongono una natura incontaminata, i comignoli di fabbriche misteriose e gli austeri e grigi edifici di una stazione, mentre alle spalle dell’abitazione si estende un mare mosso che scroscia su un molo dalla battigia ghiaiosa. Il film è, non a caso, un susseguirsi di spazi instabili e precari: così come è la presa di coscienza della caducità dell’uomo sulla Terra. In sottofondo perenne la voce meccanica e incorporea degli annunci ferroviari; la colazione notturna in una stazione di servizio (dove sembra consumarsi il primo momento di vero relax); o la risoluzione all’insonnia di Mariko grazie all’incessante vagare in automobile per le strade deserte: tutto concorre a definire un itinerario di non-luoghi salvifici, di contro agli spazi definiti della casa dove invece incombe la minaccia della natura implacabile da un lato e delle fragili e minacciose strutture umane dall’altro. È quello che Mariko stessa definisce “accumulo biologico”: il piccolo pesce contaminato dalle radiazioni mangiato da un pesce più grande mangiato a sua volta da un pesce ancor più grande, e così via, snodandosi in una catena infinita di contagio. È il processo irreversibile avviato dalla corruzione della natura da parte dell’uomo. E in questo senso l’elemento dell’acqua è centrale. Una sostanza che ritorna, vendicativa, a porre distruzione per ridefinire gli equilibri naturali. Le immagini forti descrivono quella devastazione emotiva vissuta dai due personaggi, mentre di sottofondo al dramma inconscio e incomunicabile risuonano le parole di Hiroshima Mon Amour di Alain Resnais: un chiaro rimando ad un evento esiziale che continua a ripetersi e a cui sembra impossibile sfuggire. In una visione distorta e al contempo lucida, l’ordinario si trasforma in straordinario: il mercato del pesce diventa un circo degli orrori e la dieta a base di pesce è intollerante. Un rifiuto al nutrimento scaturita da un nesso subcosciente che rivela una coincidenza tra il popolo giapponese e i pesci. Un orrore che Mariko rivive nel mattatoio ittico. I pesci arenati sulla terra, scaraventati dalle acque dello tsunami, diventano quel popolo giapponese risucchiati dalle stesse acque. Privati entrambi del loro habitat, scollati dalle loro certezze vitali. Finché sembrano palesarsi due sole soluzioni per fuggire da questi demoni: l’arte e la pace del sonno. Dimensioni spesso coincidenti. Come infatti in Hiroshima Mon Amour vi è descritta la bellezza delle viscere dilaniate dalla bomba, così in La città senza notte l’unica ancora di salvezza diventa la raffigurazione simbolica della strage. Arte come morte e rinascita: liquido amniotico rigenerante, come l’acqua distruttrice e creatrice. L’acqua dà e l’acqua distrugge così come solo l’arte sa plasmare vita dalla morte.

Leggi l'articolo completo: testo copiato da http://www.indie-eye.it/cinema/news/sguardi-altrove-xxiii-la-citta-senza-notte-di-alessandra-pescetta.html

 Tuttomilano. A cura di Luca Mosso. 
La -Città senza notte-a Sguardi Altrove. 'Un volto di donna emerge dal buio. Le parole escono con fatica dalla sua bocca. Parla inglese ma i suoi tratti sono asiatici. Sembra sotto shock, un incubo acquatico domina le sue frasi sconnesse: Fukushima, lo tzunami, le distruzioni, l'inquinamento. Un uomo cerca di calmarla. Comunica con lei a distanza, le dice parole dolci, la invita a raggiungerlo in Italia. Parte così con un incipit ad alta concentrazione cinefila (Resnais, Marker e rimembranze wendersiane) "La città senza notte"(...)Noir dall'anima piena di atmosfere metafisiche anche quando si trasferisce in sicilia....".



LA CITTA' SENZA NOTTE

Un film come un atto psico-magico, ecco cos'è La Città senza Notte.

17 marzo 2016-  a cura di Marta Abbà- Ominimilano

In programma giovedì 17 marzo alle ore 22.30 presso lo Spazio Oberdan all'interno della rassegna Sguardi Altrove tra i lungometraggi della sezione competitiva internazionale Nuovi Sguardi.
La regista Alessandra Pescetta lo ha pensato, e poi girato, “per alleviare il mio tormento emotivo” in parte legato anche al “momento storico importante in cui viviamo, dove la convivenza tra persone appartenenti a diverse culture può essere complessa e sfociare nell'incomprensione”. Ne “La città senza notte”, Pescetta fa incontrare due protagonisti “distanti”, lei giapponese e lui siciliano, che capiscono come questo senso di estraneità non dipende solo dalla diversità culturale. C'è anche “qualcosa di malato che si muove nell'aria, nell'acqua -spiega - che influenza i loro umori e le loro vite. La via di fuga da tutto questo è il sogno, dove trovano un'altra qualità di comunicazione”. Onirico, ma a tratti iperrealista nel raccontare sensazioni e situazioni e relazioni, il film in un certo senso ha voluto prendere vita “non necessariamente per volontà del regista”. Capita anche così: Pescetta racconta infatti come stesse ascoltando il “magnifico e visionario” album musicale dei Berserk! (Lorenzo Esposito Fornasari, Lorenzo Feliciati) - “era un momento in cui mi sentivo particolarmente vulnerabile” - e durante l'ascolto le è tornato in mente il suggestivo racconto di Francesca Scotti. Si intitola "La pace di chi ha sete e sta per bere", lo aveva letto pochi mesi prima, ma solo in quel momento, così particolare, quelle parole e quella storia della scrittrice milanese sono riuscite a cambiarle lo stato d'animo. 




Così, per un palesarsi di eventi successivi e non per forza logicamente connessi, è stato il film stesso a palesarsi, e con esso la giovane protagonista “instabile, molteplice, sensibile”. Viene dal Giappone, è sua “la città senza notte” ma lei esattamente come una sua coetanea milanese, di prima o seconda generazione, o milanese d'adozione, prova nel buio “forte solitudine e paura di vivere il proprio tempo”. Pescetta l'ha raccontata partendo dall'ispirazione di Scotti e usando con generosa creatività e agile freschezza sperimentale un mix di varie forme d’arte: videoarte, poesia, narrativa e musica. E' uno degli aspetti tra l'altro più apprezzati finora dal pubblico e nei vari festival in cui il Film è stato selezionato ricevendo riconoscimenti oltre che applausi. “Ha esordito come unico film italiano in concorso al Taormina Film Festival la scorsa estate, prima di ricevere il Sigillodella Pace e il Premio Gilda al Festival di Cinema e Donne di Firenze” racconta la regista nata “nelle umide campagne venete” ma a Milano dal'92. Sempre nel 2015 “La città senza notte” è stato premiato al Sydney World Film Festival, come Best Narrative Feature Film e poi ad altri sia all'estero, a Cork, sia in Italia: al Parma Operart, all'Ortigia Film Festivaloltre che al Taormina Film Festival e a brevissimo a Milano. 


Avuta l'idea, determinante è stata “la decisione del coraggioso produttore musicale Giacomo Bruzzo di Rarenoise di investire sul film insieme a La casa dei santi” racconta Pescetta ricordando la genesi della sua pellicola a poche ore dalla proiezione meneghina: “io e Giovanni Calcagno abbiamo scritto la sceneggiatura e poi a Catania ci hanno permesso di girare il film in poco più di tre settimane”. Budget “da film indipendente”, specifica, ma ad esso si sono aggiunti “la carica e l'energia di tutti i collaboratori, il sostegno delle Catania Film Commmission, della Provincia di Catania e anche di importanti case di produzione e post produzione milanesi (Top Digital, Post Office, Wayne film, 360fx)”. Con questa mobilitazione corale Pescetta e i suoi collaboratori hanno girato “La città senza notte”. Lo zampino ce lo ha messo anche la natura, o il fato, per chi ci crede. Lei, ad esempio, è convinta che “i luoghi e la natura ci ascoltino e ci rispondano” quando si gira un film o una certa scena. Giunti alla pescheria di Catania per girare una scena rappresentativa dell'incubo di Mariko, ossessionata dalla radioattività del mare, Pescetta racconta come si siano trovati davanti ad una serie di nature morte già scenografate. Pronte all'uso. Decine di piccoli pesci caduti a terra e persone che li calpestavano. Teste di pesce spada che si ergevano come trofei sui banconi. Pescatori che si offrivano per recitare e si trasformavano in creature demoniache sotto forma di venditori ambulanti. “Tutto aveva l'atmosfera onirica del film. Giorni dopo siamo ritornati per una passeggiata e tutto era in ordine, il mercato era tornato ad essere quello di sempre”.

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